venerdì 20 dicembre 2013

Crazy Christmas

E' arrivata la neve a casa mia, sancendo definitivamente l'inizio delle ostilità natalizie.
Perché con gli alberi imbiancati e la collina pennellata di candore, è per forza "Bianco Natal" (per tutti gli amanti del genere).
Le renne gironzolano calpestando il mio giardino e spargendo le loro deiezioni dove capita; orde di elfi gaudenti impacchettano regali e, quando non ne hanno più, imballano mobili, libri, il computer su cui io sto scrivendo (EHI!), Esteban che gioca con le macchinine. E' un sistema comodo per non dover spolverare ma, che palle quando per prendere un paio di mutande devi scartare l'armadio.
Il mio cane ha deciso che dopo il 25 indosserà un paio di corna finte e si aggregherà agli ungulati rennosi di Babbo Natale. Sarà la nona renna! Io le ho fatto notare che a 10 anni suonati poteva ambire a fare la nonna delle renne, tutt'al più. Ma niente, lei sente che è il momento di una svolta.
E così non mi rimane che rassegnarmi al solito, annuale delirio natalizio, ma visto che io deliro tutto l'anno, sopravviverò anche questa volta.
Buon Natale a tutti e...
Abbiate cura di voi! ... nonostante il Natale

martedì 17 dicembre 2013

Ombre e luce

Tra qualche giorno, le tenebre inghiottiranno la nostra porzione di Terra.
No, non è un nuovo pronostico Maya e nemmeno l'inizio del mio nuovo libro.
Tra qualche giorno, il 21 dicembre (Solstizio d'Inverno), il buio avrà la meglio sul giorno.
La notte più lunga, la minima esposizione solare.
Il valore simbolico di questo giorno mi porta a ricordarlo e a onorarlo ogni anno, non a caso gli antichi festeggiavano proprio in questo momento la Festa del Sole, poi convertita in Natale.
Infatti, se il 21 dicembre è il giorno in cui la notte incombe su di noi, è anche vero che proprio in quel giorno risorge la Luce, a ricordarci che gli opposti stanno sempre insieme.
Dal Solstizio d'Inverno in poi, le giornate, anche se noi sentiamo freddo e ci sembra tutto morto, ricominciano ad allungarsi.
La terra riposa, ma solo in apparenza. Tutto è in fermento e in preparazione, solo che è sotterraneo e noi non lo vediamo. Il sottobosco brulica di vita nonostante le temperature rigide. E' la Vita che si è trasferita a un livello più basso, ma che non cessa mai la sua attività, come Persefone nella mitologia.
Le ombre sono fitte, ma c'è una luce là in fondo. Anche gli amanti del buio e del crepuscolo come me non possono non apprezzarla.
Le ombre sono necessarie, così come i periodi bui. E' da lì che viene ciò che abbiamo di creativo. Come farebbe la terra a essere produttiva, se non potesse riposare al buio?
Non avrei mai scritto nemmeno una pagina senza le mie Ombre e senza i miei sogni notturni, ma è alla Luce che dono quel che è mio.
(Ok, magari qualcuno pensa che avrei fatto meglio a tenermelo dentro, ma lasciatemi finire!)
L'alternanza di luce e ombre è lì a ricordarci che la distinzione netta non esiste: c'è sempre del buio anche in ciò che appare più candido e splende una luce anche nell'essere più torbido.
(So a chi state pensando adesso. No, nel suo caso non esiste nemmeno una luce, ma è un caso eccezionale).

Stanotte chiamate a voi le Ombre più oscure, viste sotto la luce argentata della luna piena fanno meno paura, e cercate tra di loro il vostro punto di Luce.

Abbiate cura di voi, delle vostre Ombre e della vostra Luce!



venerdì 6 dicembre 2013

Invictus

Invictus di William Ernest Henley

Dalla notte che mi avvolge,
nera come la fossa dell'inferno,
rendo grazie a qualunque dio esista
per la mia anima invincibile.

La morsa feroce degli eventi
non m'ha tratto smorfia o grido.
Sferzato a sangue dalla sorte
non si è piegata la mia testa.
 

Di là da questo luogo d'ira e di lacrime,
si staglia solo l'orrore della fine,
ma invece gli anni che minacciano

sono e sarò sempre imperturbato.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,

quanto impietosa la sentenza, 
sono il padrone del mio destino: 
sono il capitano della mia anima.

Un omaggio all'invincibile anima di Nelson Mandela.


Abbiate cura di voi e della vostra anima invincibile.



martedì 3 dicembre 2013

La defunta Amicizia

Ieri leggevo un post su Facebook.
C'era scritto (parafrasando) che la parola amicizia aveva perso di significato a causa dell'uso "superficiale" che ne fanno i social network. Fino a seicento "amici" per persona, diventa amico chi ha scambiato con noi poche battute davanti a un aperitivo. Si può ancora parlare di amicizia?
Questi erano i motivi che mi hanno trattenuta per lungo tempo dall'entrare in Facebook.
Adesso che su FB ci sono, ho cambiato idea.
Come sempre il mezzo è neutro, è la persona che fa la differenza.
Ho notato che le persone hanno tutte un loro modo si gestire la loro presenza sui social network e, per quelle che conosco di più, posso dire che la modalità prescelta rispecchia anche il loro modo di essere nella vita "reale". 
In altre parole, la nostra virtualità è simile alla nostra realtà. Riusciamo a fingere solo per poco.
Di recente ho avuto la fortuna di rintracciare su Facebook un'amica che non sentivo da tempo e con la quale ho condiviso tanti anni della mia vita. Ci siamo riviste anche di persona. L'ho ritrovata così come l'ho lasciata. L'amicizia era intatta. Lei era sempre lei, io sempre io, nonostante tanti anni e molti cambiamenti nelle nostre vite. Devo ringraziare Facebook per questo? Un po'. Però il passo decisivo l'abbiamo fatto io e lei, le persone dietro il profilo.
"Amicizia" e "amico" sono parole che si riempiono del significato che gli conferiamo e, sì, si svuotano se lo permettiamo.
Ma ho una buona notizia: il sentimento che chiamiamo Amicizia (o qualsiasi altro termine vogliate usare per definire quel legame) non si può svuotare di significato. E' qualcosa che va al di là della nostra capacità di demolire i sentimenti. Ci attraversa e ci sovrasta, si condensa quando siamo di fronte alla persona giusta, cresce se  glielo permettiamo. Vivrà nonostante noi, nonostante i tradimenti, nonostante Facebook.
Finché ci saranno due amici disposti ad ascoltarsi in questo mondo, l'Amicizia è salva e noi con lei.
 

Abbiate cura di voi e ... dei vostri amici!

Questo post è dedicato ai miei amici, con un particolare ringraziamento a quelli che sono stati presenti alla mia ultima presentazione ... ma anche a quelli che non c'erano e non mancato di far sentire il loro calore. Grazie.

lunedì 11 novembre 2013

Parlare con la paura

Io sono un'aracnofobica in via di guarigione. La mia fobia migliora un pochino alla volta, ma la casa in cui abito mette a dura prova le mie paure. Ogni tanto compaiono degli esemplari davvero notevoli di ragno e, ovviamente, sono io ad intercettarli. Così è stato anche ieri sera. Normalmente, chiedo soccorso e li faccio accompagnare fuori. Non ieri.
Ho deciso che avrei affrontato la situazione da sola. Sono andata a prendere un piumino per togliere la polvere e mi sono avvicinata all'ottopode.
Avvertivo già tutti i segnali della paura che mi stava per assalire: il sangue che defluisce dalle guance e i movimenti che si fanno lenti.
Appena ha avvistato il piumino, il ragnotto si è nascosto ben bene dietro il termosifone. Avete presente il detto: non si riesce a cavare un ragno dal buco? Ecco, proprio così.
Io non lo potevo lasciare lì, perché saperlo in giro per la casa mi era insopportabile.
Allora ho fatto quel che non avevo mai osato: gli ho parlato.
Ok, alcuni potrebbero iniziare ad allarmarsi a questo punto. Aspettate di leggere il resto! Vi garantisco che sono ancora sana di mente ... più o meno.
(Per la mia amica Claudia: lo so quello che stai pensando adesso, ma questa non è come la storia del cavallo bianco che vedevo in mezzo alla strada la mattina mentre venivo a lavoro ... e poi, il cavallo c'era davvero!)
Come dicevo, gli ho parlato. Cosa gli ho detto? Con voce dolce e paziente, come quando parlo con il mio bimbo e gli spiego qualcosa che non capisce, gli ho detto che avevo bisogno di saperlo lontano e che volevo solo portarlo fuori, dove avrebbe trovato un posto in cui starsene tranquillo.
Io lo so che i ragni, a dispetto del fatto che mi facciano schifo, sono animali intelligenti, ma sono rimasta sbalordita quando, dopo il discorsetto, lui ha allungato una zampina per salire sul piumino che gli avevo avvicinato.
Sissignori, il ragno si è accomodato sul morbido e si è lasciato accompagnare fuori, poi con un salto agile è sceso ed è scomparso.
Questo fatto straordinario mi ha fatto riflettere sulla paura. 
Normalmente la evitiamo, cerchiamo di scacciarla oppure di gestirla e, raramente, di conoscerla.
Io conosco cosa sta alla base di alcune mie paure, ma ancora non riesco ad essere lucida al punto di gestirle al meglio o, addirittura, risolverle. Ci vuole tempo.
Però ieri sera ho capito alcune cose (no, non ho capito che si può parlare con i ragni!).
Ho capito che anche le nostre paure hanno paura. La paura non è lì per caso, ha un senso che spesso non cogliamo. E la sua paura è di essere messa da parte, allontanata, senza aver compiuto il suo lavoro. Per questo, se proviamo a cacciarla, lei reagisce normalmente con recrudescenza.
E' questo il momento in cui il conflitto si accende. La paura ti blocca, ti impedisce di agire e, come ho detto, ci vuole tempo (e impegno) per risolverla.
Però forse un compromesso è possibile. Possiamo parlare con lei, spiegarle che non abbiamo intenzione di venire meno ai nostri impegni, che la affronteremo, ma che, in quel momento, abbiamo bisogno di agire, di andare avanti. Le stiamo solo chiedendo, con dolcezza, di spostarsi un istante per lasciarci passare. E' una tregua.
Forse ci ascolterà, come il ragno ha fatto con me.
Tanto possiamo contare su una cosa certa: quel che nella Vita dobbiamo affrontare, si ripresenterà (anche un milione di volte, se necessario) finché non avremo capito.

Abbiate cura di voi!

martedì 5 novembre 2013

Ninna nanna per un mondo pazzo

Adesso dormi, che domani forse tutto sarà magicamente diverso, pazzo mondo che sempre corri.
Non hai ancora capito che la Vita è un ciclo continuo e che, se ti affretti, non arrivi più lontano, tutt'al più ritorni al punto di partenza?
Fai bei sogni, pazzo mondo che tanto urli. Ma non hai ancora capito che la ragione spesso si trova nel silenzio tra una parola e un'altra?
Dormi sereno, mondo pazzo che fai la guerra perché non riesci a darti pace.
Domani ti sveglierai con qualche figlio in meno e qualche figlio in più, solo numeri in un ingranaggio che non ci lascia respiro.
Allora corri, allora urla, allora muovi guerra a chiunque ti pesti i piedi.
Io sarò qui ad aspettarti alla fine di tutto. Ascolterò i resoconti delle tue caotiche giornate, le tue lamentele e, quando avrai finito, ti cullerò con le mie braccia fatte di alberi, stenderò una coperta di stelle sul tuo corpo affaticato e ti dirò in un sussurro:
"Calma, calma, siamo nell'Eternità".

Abbiate cura di voi!

(Il virgolettato è una frase di Roberto Assagioli)

martedì 29 ottobre 2013

Grazie per il tuo tempo

In questi giorni, sto inviando delle mail a persone che potrebbero essere interessate a recensire il mio libro. Poverini,  lo so, ma non è questo il punto.
Alla fine di una di queste mail, ho scritto (invece dei soliti "Saluti" o "Cordialmente" o " Per sempre tua"): "Grazie per il tuo tempo".
L'ho scritto perché lo sentivo vero e, anche se suona strano, l'ho lasciato. Non solo, l'ho riscritto tutte le volte che lo sentivo nuovamente vero.
La sindrome da Calimero Infuriato che spesso mi coglie (vero Loris?), mi porta a ululati lamentosi quando penso che nessuno presti tempo a quello che dico o a quello che scrivo, quasi che mi fosse dovuto il tempo altrui.
Ma forse non è così.
Il tempo è prezioso, l'attenzione pure. L'ascolto vero vale oro quanto pesa (ma quanto pesa?).
E visto che a me piace ogni tanto guardare le cose da un punto di vista diverso, oggi proverò a essere grata per il tempo che mi viene dedicato, non pensando a quello che mi manca.
Per bene iniziare: grazie a voi che avete letto queste righe.
(Ora tornate a cose più utili che c'è un mondo da salvare!)

Abbiate cura di voi! ... e del vostro tempo.



martedì 22 ottobre 2013

Bodhisattva in autobus

Sono mamma da tre anni, ma mai come sabato mi sono resa di conto di come sia bello il mondo visto con gli occhi di mio figlio.
Siamo stati per la prima volta in autobus e il giretto in mezzo pubblico si è trasformato in un'esperienza divertente quanto un giro alle giostre.
Allora il biglietto diventa il gettone per fare un giro sulla giostra dei cavalli. Il motore che si accende, le luci, il display, tutto rende l'autobus un mezzo magico diretto verso luoghi sconosciuti. 
E poi, l'attesa per l'imminente partenza con i piedi a ciondoloni che si muovono emozionati. Gli occhi attenti a qualsiasi movimento dell'autista.
Il ragazzo pakistano che mangia castagne e te ne offre una oppure il signore con il cagnolino simpatico diventano perfetti compagni di gita. 
E ti viene da sorridere, guardando le macchine dall'alto. La strada, le luci, la signora che annuncia le fermate con la voce strana. E le porte che si aprono da sole per far scendere a salire le persone.
Mentre sorridi, anche chi ti guarda sorride, è inevitabile.

Se non l'avete mai visto, andate a guardarvi questo video su youtube che si intitola "Bodhisattva en el Metro" e poi fatemi sapere se siete riusciti a non ridere.
http://www.youtube.com/watch?v=udlNOIF_HKk

Se non sapete cosa regalare, regalate un sorriso.
Abbiate cura di voi!

martedì 15 ottobre 2013

Abbiate cura di voi

Qualche giorno fa, ascoltando la radio in macchina, mi è capitato di ascoltare le notizie sul traffico.
Scorrono le informazioni, annunciate da una voce femminile. Le solite code, per fortuna nessun incidente. Poi, alla fine di tutto, la signora del CIS - Viaggiare Informati saluta.
Non dice: buon viaggio e nemmeno "arrisentirci".
Dice: "Abbiate cura di voi".
Io credo di aver sentito male, ma in un'altra occasione, sempre la stessa voce, ha ripetuto: "Abbiate molta cura di voi". (Forse non era sicura che il messaggio precedente fosse arrivato forte e chiaro).
Non sono riuscita a intercettare il nome della speaker, ma l'ho trovata una persona illuminata.
In effetti, "Abbiate cura di voi" dice tantissime cose.
Trasmette calore e interesse, oltre a veicolare una delle più Grandi Verità di tutti i tempi: se hai cura di te stesso, il resto vien da sé.
Se hai cura di te stesso, non ti trascuri e ti rispetti.
Se hai cura di te stesso, non sei nervoso, opprimente e stronzo.
Se hai cura di te stesso, sei sereno.
Se hai cura di te stesso, hai la pelle più bella, lo sguardo scintillante e tutti ti sorridono (e magari rimedi un appuntamento).
Se hai cura di te stesso, ami senza diventare la vittima di turno.
Se hai cura di te stesso, sai come prenderti cura degli altri.

Da oggi: Abbiate cura di voi!


mercoledì 9 ottobre 2013

Gay-test

Il Kuwait, dove l'omosessualità è un reato punito con la carcerazione, ha deciso di vietare l'entrata di persone omossessuali nel suo territorio.
Per questo, negli aereoporti saranno fatte delle visite mediche e chi sarà scoperto sarà rimandato indietro. Sembra che stiano progettando un vero e proprio dispositivo che individuerà l'omosessualità ... 
A questo punto mi chiedo: come pensano di fare?
Forse sarà una specie di macchina della verità e semplicemente chiederanno a tutte le persona sospette: "Lei è omosessuale?
Oppure confidano nell'onestà degli omosessuali che, pur essendo a conoscenza della pena detentiva, sicuramente dichiareranno: "Sì, sono gay! Mettetemi in carcere".
Ci sarà forse un esame del sangue, che andrà a individuare il virus che diffonde l'omosessualità.
O, meglio ancora, un test del DNA (la persona esaminata può attendere tranquillamente in aereoporto che escano i risultati) che scoverà il gene dell'omosessualità. Sarà facile riconoscerlo, perché sarà vestito di rosa con un boa di struzzo intorno al collo per gli uomini, mentre per le donne sarà un po' mascolino e forzutello. 
Magari faranno un'accurata ispezione dei genitali ... interessante occupazione per i medici dell'aereoporto.
Potrebbero fare testo anche le chiacchere, così gli amici buontemponi avrebbero l'occasione di fare uno scherzo bellissimo, mettendo in giro la voce che siamo omosessuali.
Magari sarà una seduta di psicoterapia o di ipnosi regressiva, non lo so.
Sono proprio curiosa di sapere come faranno, perché mi interessa sapere in quale luogo si annida l'omosessualità. 
Nel corpo? Nella testa? Nel cuore? Nell'anima?
Ovunque?!
Dove sentono l'amore gli omosessuali? E il desiderio?
Forse lo sentono dove lo percepiscono gli etero. Magari non sono così diversi.

venerdì 4 ottobre 2013

C'è chi sì, c'è chi ... no

C'è chi vive nel Bene e chi vive nel Male.
C'è chi, da furbo, è nato nel posto giusto al momento giusto e chi ... no.
Ci sono volti che fanno fare al cuore capriole d'amore e ci sono volti che restano sconosciuti, vuoti.
Ci sono corpi che vorremmo abbracciare e corpi che ci disgustano.
C'è chi ha diritto a mangiare e chi ... no.
C'è chi conosce solo benessere e lo spreca e chi ... no.
C'è chi non è costretto a lasciare la propria terra e chi ... no.
C'è chi può permettersi di ignorare e chi ... no.
C'è chi muore in mare e chi ... no.

 Per qualcuno il valore della vita umana non è universale.

(C'è chi è capace di parlare in questi frangenti senza spugnosa retorica ... io no. Avevo bisogno di parlare e così, scusatemi, dirò).

mercoledì 25 settembre 2013

Lo zen e l'arte di accatastare la legna

Non possedendo grandi poteri come la maggior parte dei personaggi dei miei libri, mi arrangio come posso.
Come tutti, cerco di imparare da quello che mi accade e, a volte, succede che anche lo svolgimento di un lavoro semplice possa insegnare qualcosa.
Ecco le semplici indicazioni suggeritemi dall'accatastamento della legna in vista dell'inverno.
- Preparati all'inizio: concediti un po' di tempo per preparare ciò che stai per fare. Celebra l'inizio delle cose e impegnati a iniziare meglio che puoi. Le cose si possono sempre correggere strada facendo, ma una catasta male impostata è difficile da raddrizzare.
- Mentre accatasti la legna, accatasta la legna e basta: non sovrapporre mille attività, dedicati al compito che stai svolgendo completamente. Diventerà una specie di meditazione. (Più il compito è semplice, più è indicato a questo scopo). Questo mi ricorda una storia buddhista. Ve la riassumo con parole mie.
L'allievo andò dal maestro e gli chiese: "Maestro, come è cambiata la tua vita dopo l'illuminazione?"
Il maestro tace e poi risponde: "Prima dell'illuminazione, mangiavo, camminavo e dormivo. Dopo l'illuminazione: quando mangio, mangio. Quando cammino, cammino. Quando dormo, dormo".
Semplice, no? No, non è semplice, ma andiamo avanti.
- In qualsiasi momento, anche se sei già andato molto avanti, se avverti il bisogno di tornare sui tuoi passi, abbi il coraggio di farlo. 
- Quando hai finito, osserva il tuo lavoro con aria compiaciuta (anche se in quel momento la catasta di legno si rovescia sui tuoi piedi). Ci sono il tuo tempo e il tuo impegno lì, non darli per scontati.

Buon lavoro a tutti!

Angolo dell'autocelebrazione: avete notato che c'è una nuova pagina nel blog? L'ho chiamata "Scrivono di me" e raccoglie gli spazi che sono stati dedicati a me e alle mie pubblicazioni.

lunedì 16 settembre 2013

Come un pugno allo stomaco

Oggi avevo deciso di scrivere altro, ma la vista di alcune foto mi ha talmente sconvolto che i miei occhi sono ancora pieni di quelle immagini.
Sembravano solo addormentati, invece i tanti bambini sdraiati a terra erano morti.
Bambini siriani uccisi con gas letale... 
La mente sovrappone quell'immagine ad altre, terribili, già viste e non si capacita.
Per un angosciante gioco di proiezioni, quei bambini sembrano il mio o i tanti altri che in questi giorni vedo andare a scuola o all'asilo e non mi capacito.
Tra la rabbia, l'impotenza e la nausea, il  mio stomaco si contorce e non mi capacito.
Non mi abituerò mai a sentir parlare di guerre e di innocenti uccisi, per questo ringrazio.
Voglio continuare a stare male ogni volta e a sentire le budella rivoltarsi, perché significa che ancora la mia coscienza non si è addormantata e che non dimenticherò.

venerdì 6 settembre 2013

Andiamo al parchetto?

Dove abito c'è un parco dietro un castello abbandonato con pochi giochi e quasi sempre deserto. Allora, io e il mio bimbo ci muoviamo raminghi per il mondo e nel tempo abbiamo visitato un buon numero di parchi in zone vicine e lontane.
Non potendoci avviare a piedi verso un parchetto nel quale si possono trovare bambini che vivono vicini, abbiamo fatto di necessità virtù e adesso possiamo stilare un piccolo studio sociologico e logistico sulla natura dei vari parchi.
Potremmo dire: zona che vai, situazione che trovi.
C'è il parchetto vicino casa (appunto), spesso vuoto e con pochissimi giochi, nel quale c'è però un lungo scivolo coperto che quando ti lanci in discesa puoi immaginare di uscire in un'altra dimensione.
C'è il parchetto vicino al centro anziani, con un bel parco fresco, qualche gioco e la possibilità di fare due chiacchere con i nonni.
C'è il parchetto vicino al Parco Avventura, con dei giochi tutti particolari e la bellissima frase di Goethe incisa su una pedana ("I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi").
C'è il parchetto (che avevano tentato di chiudere) frequentato da tanti bimbi e con una casetta di legno che qualche piromane idiota incendia puntualmente. Ma tanto quando la sistemano ci vanno i ragazzi grandi a baciarsi e i piccoli devono aspettare!
C'è il parco vicino al Po con tanti giochi ma, soprattutto, con una mega struttura per pattini e skate nella quale è bello andare a fare i matti, salendo e scivolando (con i piedi).
C'è il parchetto di periferia in mezzo al traffico e sotto una candela di sole impossibile (da frequentare solo quando piove!).
C'è il parchetto frequantato da mamme rumene gentilissime che hanno bimbi che condividono i loro giochi volentieri.
C'è il parchetto multietnico, che è un collage di lingue.
C'è il parchetto vicino al torrente, che quando ti stufi delle giostre puoi andare a tirare sassi nell'acqua.
E quando si torna a casa, ci accoglie il silenzio frondoso degli alberi ed è bello ascoltare le emozioni appena vissute.


venerdì 23 agosto 2013

Immigrazione: una riflessione

Di ritorno dalle vacanza, concedetemi una piccola riflessione, banale e limitata.
Le notizie odierne sui profughi siriani riportano (e  ce n'è sempre bisogno) l'attenzione sul tema dell'immigrazione clandestina e non.
Sono tornata da alcuni giorni di vacanza in un campeggio. Il campeggio è un luogo nel quale tu disponi di pochissimo spazio privato che viene compensato da spazi ampi e servizi che sono di tutti. Appena ti azzardi a fare qualcosa che possa daneggiare ciò che è di tutti, vieni ripreso e riportato all'ordine. Infatti, pur essendo in Italia, non c'è sporcizia per terra nonostante la scarsa presenza di bidoni dell'immondizia.
Premettendo che non credo che questa sia la situazione in tutti i campeggi, la riflessione è questa: più sentiamo nostro quel che è di tutti, più lo rispettiamo e ne abbiamo cura, vigilando che tutti facciano lo stesso.
(Mi verrebbe anche da aggiungere che più troviamo luoghi curati, più siamo incentivati a trattarli bene).
Allora forse le persone che arrivano nel nostro Paese, andrebbero stimolate a sentirsi a casa e a sentire loro quel che è di tutti, così ne avrebbero cura e lo valorizzerebbero.

domenica 11 agosto 2013

A fidarsi non si sbaglia mai



Il titolo di questo post è una provocazione per me che sono stata cresciuta a pane e sospetto.
Per l’ennesima volta, la Vita mi sta dimostrando che ci si può fidare. Posso riporre fiducia in Lei e nelle persone che amo.
Non è facile.
Quando voglio andare dritta per la mia strada, ecco che trovo un ostacolo che mi blocca il percorso. Così, frustrata e in collera, devo tornarmene indietro e trovare un’altra via. Dopo giri tortuosi, il risultato si presenta inaspettato. Altre volte mi preparo a scalare una montagna e dopo un paio di passi la vetta è già lì, oppure il successo si presenta sotto mentite spoglie. In alcuni casi capisco il senso dei ritardi o degli anticipi, più spesso rimangono oscuri, come i disegni che il Destino intesse per me.
Ma sempre mi ritrovo a ringraziare e a dirmi che potevo fidarmi, anche del dolore.
A questo proposito, mi torna alla mente un brano che ho presentato durante un incontro al Salone del Libro di Torino di quest’anno. È una storiella che ho riscritto a mio modo e che conosco da una vita (ma ne ignoro l’autore).
Eccola …

“Alla fine dei miei giorni, sedevo su una collina di sabbia in riva al mare.
Sulla sabbia bagnata dall’acqua, una lunga fila di orme: il cammino che era stata la mia esistenza. Ma non c’erano solo le mie orme: c’erano anche quelle che la Madre Vita aveva lasciato, accompagnandomi.
I miei passi apparivano a volte leggeri, a volte pesanti. A volte spensierati, a volte impauriti. A volte sembravano una danza, a volte erano trascinati e stanchi, ma sempre le impronte della Vita mi seguivano: delicati e possenti allo stesso tempo.
Poi notai che, per lunghi tratti, rimanevano un solo tipo di orme. Ricordavo quei momenti: erano i momenti più bui della mia esistenza. Quelli in cui temevo di non farcela, quelli in cui avevo desiderato farla finita.
Allora mi rivolsi alla Vita, colmo di rabbia: «Perché mi hai abbandonato proprio nel momento del bisogno?» le chiesi.
Una voce al mio fianco mi rispose ed io mi volsi di scatto, perché pensavo di essere solo.
La Vita mi sorrideva e indicava la sabbia bagnata. «Io sono sempre stata con te. I tratti in cui vedi solo una fila di orme sono i momenti difficili, quelli in cui ti portavo tra le mie braccia».
Sono sempre stato in ottime mani.”


lunedì 15 luglio 2013

La Tabella

(Rumore di passi veloci in corridoio. Una porta si apre e poi si chiude. Poi se ne apre un'altra e poi si chiude. Alla fine si apre l'ultima.)
- Scusa, hai mica visto quel documento con la Tabella?
-Quale Tabella?
-Quella che uso per i colloqui. Ne ho uno tra un'ora e non riesco a trovarla.
-Hai provato di là in bagno?
(Rumore di passi poco convinti che si dirigono in bagno)
-Eccola qui! ... Ma chi è che ha usato la prima pagina per pulirsi?
-Ah, non guardare me.
- Comunque, l'ho trovata. Meno male! Qui c'è tutto quello che un candidato deve essere e fare.
- Perché usi di nuovo quella Tabella?
- Ordini del Capo. Dice che adesso tutti i candidati devono rientrare nei parametri della Tabella.
- Fa un po' vedere...
(Leggendo insieme la Tabella)
- Ehi! Ma io sono più alto di così.
.....
- E non vado a letto a quest'ora.
....
- E non mangio queste cose.
....
- Cosa significa: "Saresti disposto a nascere femmina in Cina?"
- Non lo so.
- Non ho nemmeno studiato su questi libri ... e poi, io non sono etero!
- Cosa significa? Nemmeno io. Ma tanto non dobbiamo sostenerlo noi il colloquio.
- ... Hai ragione. Però trovo difficile che qualcuno possa superare una selezione di questo tipo.
- Lo so, ma il Capo non vuole più casini. Hai visto quel che succede laggiù, no?
- Eh, sì.
(Squilla il telefono)
- UFFICIO ANGELICO PER IL CONTROLLO DELLE NASCITE, come posso esserle utile? ... Sì, un momento, attenda. (Bisbigliando al collega). E' un certo Adolf Hitler. Chiede se il suo pass è pronto.
- Adolf Hitler ... questo nome non mi è nuovo. Aspetta che guardo tra le pratiche ultimate. (Scartabellamento) Ah, sì. Informa il signor Hitler che il suo pass è pronto. E' stato tra i pochi a rientrare subito nei parametri della Tabella.
(Il collega informa il signor Hitler che può nascere quando desidera e lo saluta).
Dopo poco ...
- Oh, no!
- Cosa succede adesso?
- Mi sono dimenticato di far fare al signor Hitler il test per la gestione delle emozioni ed è la seconda volta che me ne dimentico ... Beh, non credo potrà fare molti danni.
(Bussano alla porta. L'angelo va ad aprire).
- Buongiorno, sono il signor Gandhi. Sono qui per il colloquio.
- Ma certo! Si accomodi nella stanza in fondo al corridoio. Io la raggiungo immediatamente.
(Parlando al collega sottovoce)
- Detto tra noi non credo che ce la farà. E'  troppo basso!

lunedì 1 luglio 2013

Accadeva il 2 luglio 2013

Marciavano potenti, marciavano sorridenti,
tanti da lontano, ancor di più i residenti.
Marciavano per la Pace, marciavano per un Ideale,
a chi governa volevano lanciare un segnale.

Davanti ai loro occhi costernati,
cadde la Democrazia, lasciandoli inascoltati.

Ma la Speranza non è morta, se ancora una donna o un uomo son disposti a urlare:
"A mio figlio non volevo dare un'altra base militare".


Domani nella mia amata e odiata Vicenza succederà una cosa che non so se sarà riportata dai media ... io lo spero.
La nuova base militare, contro la quale in tanti si sono mobilitati, sarà inaugarata in barba al dissenso popolare.
Le persone che in questi anni hanno protestato, l'hanno fatto pacificamente  e tenacemente. Chiedevano principalmente di essere ascoltati, ma non è stato così.
Domani sarà un giorno triste e non solo per Vicenza


giovedì 13 giugno 2013

La cosa giusta da fare

Per la prima volta uso il blog in un momento di vero sconforto ... Mi perdonerete, spero.
Mai come in questi giorni è stato così difficile per me capire quale sia la cosa giusta da fare. E non servono a nulla i ragionamenti e le riflessioni. No, c'è qualcosa di profondo che si muove e non riesco ad afferrarlo, a vederlo.
Le scelte che farò, condizioneranno la vita di mio figlio e non è cosa da poco. Da quando è nato, sempre quello che ho fatto e scelto, ha condizionato la sua vita, ma ora siamo a un nodo importante. E io non so quale direzione prendere (spero che lui sul serio non credesse di aver trovato una guida!).
Cosa fate voi, quando non sapete cosa fare? E cosa fareste a quelli che invece sanno perfettamente quello che voi dovreste fare?
La certezza assoluta di altri su questioni intime che anch'io fatico a districare, mi ferisce tremendamente. I consigli non richiesti e le ricette mi mandano in bestia.
E che dire delle soluzioni che vanno bene per tutti ... ma proprio per tutti? Ma non eravamo tutti unici e irripetibili?
L'omologazione mi spaventa, non la capisco. Persino la scienza è disposta ad ammettere delle eccezioni (che confermano la regola per carità!) e come fanno ad esistere le soluzioni uniche, quando si parla di essere umani? Quando si parla di bambini?
Sarà perché sono una persona insicura, sarà perché su ogni cosa mi faccio mille domande, sarà perché sono un sagittario ascendente pesci, non lo so, ma io di cose certe ne conosco poche.
E sono queste:
Sono certa dell'amore che provo e dell'amore che ricevo.
Sono certa che il rispetto sia dovuto a tutti.
Sono certa che i diritti umani vadano rispettati e fatti rispettare (con il rispetto dei diritti umani stessi).
E sono certa che ognuno di noi sia qui per fare un piccolo pezzo di strada, sbagliando e migliorando, sbagliando e migliorando.
Ma la cosa giusta da fare, io non so quale sia e le ricette non le ho!

venerdì 31 maggio 2013

Almas raminghe

Un piede nella stanza e l'altro già fuori dalla porta di qualche centimetro. Il biglietto del treno o dell'areo in tasca, la macchina parcheggiata con il motore acceso, un paio di scarpe da runner ai piedi.
Così vivono le anime raminghe, quelle che non si fermano mai per più di pochi giorni in un luogo e anche se lo fanno è un inganno, perché il cuore è già altrove.
Mai ferme, mai soddisfatte, sempre alla ricerca di qualcosa che si trova qualche metro più in là.
Spinte da un'urgenza che non le fa dormire.
Quando arrivano, devono farsi amare subito, perché sanno che dopo un po' non ci saranno più.
Quando se ne vanno, lasciano una sequela di cuori infranti, delusi e collerici.
Solo qualcuno le capisce e le lascia andare, così come sono arrivate. Non sono di nessuno, nemmeno di se stesse.
Pensano di inseguire qualcosa di irraggiungibile, invece sono braccate da qualcosa che si portano dentro. Presto o tardi, tutti siamo almas raminghe. Chi per qualche tempo, chi per tutta la vita.
Quel che un'anima raminga non riesce a fare è semplice: fermarsi un secondo, chiudere gli occhi, respirare una volta nella vita e poi, raccogliendo tutto il coraggio, voltarsi a guardare indietro.

sabato 25 maggio 2013

Non mi avresti cercato se non mi avessi già trovato

"Non mi avresti cercato se non mi avessi già trovato". Sono parole di Pascal.
Parlano dell'eterna ricerca di qualcosa o qualcuno che, in realtà, abbiamo già trovato. Tanta strada, tante situazioni vissute cercando ciò che portiamo già dentro perché, se non fosse così, non saremmo mai partiti a cercare.
Dicono dell'immensità che portiamo dentro a nostra insaputa e della nostra continua smania di ritrovamento.
Ma ci dicono anche che la persona più detestabile e quella che maggiormente ammiriamo hanno qualcosa in comune: noi.
Cerchiamo e troviamo negli altri quello che ci appartiene di più, nel bene e nel male.
Così ci dobbiamo rassegnare: siamo anche noi meschini, inetti e chi più ne ha più ne metta, ma siamo anche meravigliosi, spettacolari e prodigiosi quanto le stelle.
Ho aperto con Pascal, ma chiudo con Walt Whitman.
"Io mi contraddico. Sono ampio. Contengo moltitudini."


lunedì 13 maggio 2013

Salone del Libro 2013

Quest'anno al Salone del Libro di Torino non andrò solo vagando e vaneggiando di stand in stand, andrò anche a portare il mio libro.
Il mio libro.
Il mio libro al Salone del Libro di Torino.
Il mio libro come un fiorellino in mezzo ad altri fiorellini.
Beh, non tutti sono fiorellini, molti sono giganteschi baobab, piante millenarie.
Ma io non mi abbatto, sarò là con il mio libro a fiori.
No, ecco che sto per divagare.
"Emozionata?" mi chiede la giornalista di un'illustre rivista patinata per donne con i tacchi alti.
"Sì, certo" rispondo io, un po' impacciata come al solito.
"Se l'aspettava un tale successo?" mi chiede un giornalista d'assalto.
"Quale successo?" chiedo io sospettosa.
"Non sia modesta! 100.000 copie vendute nel giro di una settimana non sono uno scherzo!" commenta un'altra giornalista sempre più patinata.
Io rimango lì a bocca aperta.
"E' vero che presto il suo romanzo diventerà un film? e che l'ha chiamata un famoso regista americano?"
Io comincio a sudare."Beh, veramente ..." blatero.
"Ah, abbiamo capito. Cerca di mantenere segreta la notizia".
"No, veramente ... "
"Insomma, non vuole proprio dirci nulla? Qualche novità piccante?"
"Piccante?" ripeto io.
I giornalisti davanti a me cominciano a guardarmi con occhi diversi. Qualcuno mormora qualcosa, poi uno si fa avanti e mi chiede a brucia pelo: "Ma lei è Licia Troisi, vero?"
Io tiro un sospiro di sollievo e rispondo: "No".
E così, se ne vanno tutti e mi lasciano lì, sola soletta con il mio libro.
Ok, ho delirato abbastanza.
Adesso, siamo concreti.
Io al Salone ci vado e qui di seguito trovate anche dei riferimenti. Se mi venite a salutare, mi fate un gran piacere (ma niente domande imbarazzanti).

Sarò presente allo Stand dell'agenzia letteraria Contrappunto - Padiglione 2, stand N10- nei seguenti orari:
- venerdì 17 dalle 14.30 alle 17.30
- domenica 19 dalle 16 alle 18.30

Infine vi segnalo un appuntamento che si annuncia interessante (anche se io figuro tra i relatori).

Domenica 19 maggio 2013. Durata: 1 ora

Ore 18.30
Sala Professionali Creatività, culla del talento. Allenare la migliore versione di noi stessi
a cura di Contrappunto Literary Management
Intervengono: Massimo Bonanno, Frutta Candita, Ezio Fossa, Daisy Franchetto, Rosa Gargiulo
Coordinano: Valentina Ciannamea e Natascia Pane


 




martedì 7 maggio 2013

Passato

Insistente visitatore delle mie notti insonni.
Fastidiosa indigestione di immagini emotive.
Humus per i miei sensi di colpa e per i successi futuri.
Gravoso fardello di difficile condivisione.
Occhio critico e poco misericordioso.
Paziente insegnante di una lezione che io non riesco ad imparare.
Velocista inseguitore: per quanti chilometri io percorra, quando mi giro, ti trovo lì.
Infaticabile divoratore di momenti presenti ... anche queste righe ti appartengono già.

mercoledì 24 aprile 2013

Sono qui

La pesante porta di legno si chiude. Le sbarre di metallo sigillano la gabbia. Una campana di vetro scende e ti imprigiona per sempre. Il cattivo di turno, con un ghigno eloquente stampato in viso, dice la frase di rito: "Grida quanto vuoi, tanto qui nessuno può sentirti!"
In questi giorni, a causa di una serie di vicende socio-politiche personali e (perché no) editoriali, mi sono sentita proprio così: chiusa da qualche parte e senza la possibilità di comunicare. Sono un granello di sabbia vicino ad altri granelli che non riesce a farsi sentire da nessuno.
A questo punto, una donna con bellissimi capelli, un trucco impeccabile e un bel vestito alza la sua mano dalle unghie perfette e chiede la parola: "Com'è possibile che nell'era di internet, dei social network e dei cellulari che ti rendono raggiungibile anche all'inferno, tu possa sentirti isolata?"
Lo spiego raccontando la storia di quel signore che si trovava in sala operatoria, gli stavano facendo una delicatissima operazione a cuore aperto. Ad un tratto, suona un cellulare. Il cardiochirurgo di fama internazionale si ferma con una pinza per aria e si guarda intorno, sbigottito. Gli strumentisti fanno cenno di non sapere quel che accade, ma il cellulare continua a suonare. Come in un film, il paziente si risveglia dall'anestesia totale: "Scusate, non ho spento il cellulare perchè aspettavo una telefonata importante da un cliente. Disturbo se rispondo?" Superato il primo momento di smarrimento, il medico risponde: "Ma certo, faccia pure, ne approfitto per chiamare mia moglie". E nella sala operatoria tutti cominciano a chattare, a telefonare e a navigare. L'unico che rimane solo e disperato è il povero cuore, aperto sul mondo e in attesa di essere ricucito.
Oramai la comunicazione è diventata una cacofonia nevrotica, un martello pneumatico di stimoli, un labirinto di parole e dopo un'ora perduti nella rete, pensiamo di aver ascoltato già abbastanza. Pur non avendo ascoltato nessuno. E' sempre il cuore a perdere.
Un tizio con la faccia da Sigmund Freud interviene e a tradimento, mi dice: "Analizziamo meglio la situazione". Io mi ritrovo sdraiaita su un lettino a raccontargli la mia vita. "Ma vede, dottore, quando mi sento davvero sola, posso sempre contare su pochi, pochissimi amici. Sono perle che conservo in un cofanetto come il tesoro più prezioso. Posso sempre contare su un tè virtuale con la mia amica che abita a 400 km di distanza e mi fanno un po' impensierire quelli che hanno tantissimi amici e poi devono affittare uno stadio per comunicare a tutti i loro crucci".
Penso di essermela cavata, quando a sorpresa esce dal buio l'uomo in nero. Non lo vedo in faccia, ma so chi è e cosa vuole. A lui piace vedere l'altro lato delle cose, quello nascosto. Vediamolo allora il lato nascosto: chi ha chiuso la porta? Chi ha sigillato la gabbia? Chi ha calato la campana di vetro? Di chi è la mano misteriosa che mi ha precluso il contatto con il mondo?
Vado dietro la porta, oltre la gabbia, sopra la campana e trovo sempre la stessa mano: la mia. Volete dirmi che è stato il solito autogol? Ebbene sì, il mondo mi ha temporaneamente chiuso la porta in faccia, perché così io ho voluto.
Ecco che arriva però il classico raggio di sole: se io ho causato la chiusura, io posso uscirne.
Allora esco e mi metto a disposizione di quel che vuole accadere ... e qualcosa, inevitabilmente, accade.

Lo so, avrei dovuto avvertirvi che questo post sarebbe stato quanto meno surreale, ma vi ringrazio per essere arrivati in fondo.
Sipario!

mercoledì 17 aprile 2013

Le cose che sono

Prima che Esteban nascesse, ero convinta di non essere il tipo di donna che (avendone la possibilità) sarebbe rimasta a casa ad accudire il figlio, rinunciando alle proprie attività. Invece, contro ogni previsione, è proprio quello che ho fatto ... e ne sono felice.
La rinuncia (parziale) ad alcune cose che facevo mi ha consegnato in dono dell'altro.
Oggi riflettevo non sul mio ruolo in senso stretto, ma sulla capacità di diventare qualcosa di diverso all'occorrenza. In questi anni, mi sono trasformata in oggetti di vario uso e in animali diversi, rinunciando anche alla mia complessità umana (una vera liberazione!).
Sono un cuscino e una coperta per il mio bimbo, quando si addormenta.
Sono un dispenser di latte fresco a richiesta.
Fungo da pecora per il mio cane da pastore.
Sono l'imitazione mal riuscita di un gatto, una gallina, un cane, un cavallo e un maialino
Le mie mani completano giochi che le manine inesperte di Esteban non riescono a portare a termine.
Sono un mezzo di trasporto bipede.
Sono una spina nel fianco, quando mi irrigidisco e non voglio sentire.
Sono un luogo sicuro in cui sostare.
Sono un paio di orecchie che sanno ascoltare.
Sono una bocca che sputa sentenze, parla di sofferenza, sussurra parole dolci o spiritose.
Sono due occhi che scrutano e osservano.
E sono sicura di essere altre mille cose che per distrazione o rigidità non riesco a vedere.

martedì 2 aprile 2013

Lo stagno della rane (un omaggio alla situazione partitica in Italia)

C'era una volta uno stagno abitato da vari tipi di rane: alcune erano verdi, altre nere, altre rosse, ma c'era anche qualche rarissimo esemplare di colore bianco.
Lo stagno era spesso fangoso, perché la maggior parte delle rane amava sporcarlo senza pulire. Le cose procedettero così per molto tempo, l'opera di pulizia delle poche rane volenterose faceva sì che lo stagno restasse un luogo vivibile.
Poi un giorno accadde ciò che dalle rane più sagge era già stato annunciato tempo prima: lo stagno iniziò a sporcarsi sempre di più e l'opera delle rane volenterose non fu più sufficiente.
Fu in quel periodo che iniziò a comparire nello stagno un nuovo tipo di rana di colore giallo. Queste rane crebbero di numero in poco tempo e, pur vivendo nello stagno con gli altri, dicevano di sentirsi migliori e diverse.
Mentre tutte le altre rane discutevano dei problemi dello stagno e di come porvi rimedio, le rane gialle balzarono fuori dalla stagno e da lì iniziarono a dare indicazioni su come i problemi andavano risolti, rifiutandosi di rientrare nello stagno finché ci fossero state le altre rane.
"Venite giù e aiutateci a mettere le cose a posto" dicevano le rane volenterose.
"No, noi siamo migliori anche di voi e non ci vogliamo mescolare. Fate semplicemente come diciamo" dicevano le gialle.
Nel frattempo, le rane che volenterose non erano, sporcavano sempre di più lo stagno senza ritegno.
La situazione era in stallo: le energie utili a migliorare la situazione erano bloccate.
"Venite giù e accettate di sporcarvi anche voi le zampe in vista di un futuro migliore" dissero un'ultima volta le rane volenterose, ma le rane gialle erano ferme sui loro onorevoli principi.
Purtroppo, l'epilogo di questa storia non è buono: lo stagno collassò per la troppa sporcizia e molte rane volenterose morirono, mentre le rane che sempre avevano sporcato riuscirono a salvarsi e andarono a sporcare da un'altra parte.
Le rane gialle rimasero sul ciglio dello stagno interdette. "Avrebbero dovuto fare quello che dicevamo noi" sentenziarono alla fine.  

domenica 17 marzo 2013

Il potere della verità

Non ho mai nascosto le mie perplessità sulla Chiesa come istituzione e oggi le mie perplessità non possono dirsi dissipate.
Abbiamo un nuovo Papa e anche chi non crede nella Chiesa, anche chi non crede nel cattolicesimo, anche chi non crede, da oggi fa i conti con questo nuovo fatto.
Ho seguito alcuni approfondimenti sul conclave e quando ho sentito che l'eletto veniva dal Sud America, per un attimo ho esultato. Forse l'elezione di un Papa che viene da un paese non tra i più potenti e che si presenta con modi umili poteva essere l'inizio di una svolta, finalmente.
Il sogno si è infranto velocemente: via internet sono iniziate subito ad arrivare informazioni sul passato poco chiaro del nuovo eletto, in particolare, i suoi trascorsi nel periodo della dittatura in Argentina. Due preti, gesuiti come lui, arrestati e torturati a causa di un suo non intervento e poi l'aver negato di conoscere la pratica dell'adozione di neonati figli delle donne che venivano stuprate e torturate nelle palestre della morte.
Le prime informazioni sono arrivate da fonti che non conosco bene, nel frattempo tranquillizzanti dichiarazioni provenivano dal Vaticano. Poi le voci si sono moltiplicate e le fonti sono diventate più auterovoli. Il Vaticano continua a difendere (ovviamente) l'operato del nuovo Papa.
Anche se non spetta certo a me assolvere o condannare, un dubbio rimane insieme a una laica speranza: che alla fine la verità vinca su tutto.
Troppo è stato ed è taciuto, ormai nessuno può più negarlo. Quando penso alla verità, mi viene sempre in mente il titolo di un libro che ho letto molto tempo fa: "Verità senza vendetta" di Marcello Flores (Manifestolibri).
Il libro è un'antologia di testimonianze impressionanti sull'esperienza della Commissione sudafricana sui crimini dell'Apartheid. Per quel che ne so, è stata un'esperienza unica nel suo genere: si è data la precedenza all'emersione della verità piuttosto che alla punizione o alla vendetta. Le vittime e i loro familiari avevano bisogno che fosse detta la verità, tutta la verità, per lasciare andare le atroci esperienze di cui erano stati protagonisti. La verità ha avuto una funzione terapeutica. Del resto, è ciò che tutte le vittime chiedono sempre.
Allora la preghiera laica che invio all'istituzione religiosa dalla quale in Italia non si può prescindere è: sia detta la verità e da lì, con umiltà, si ricominci.



venerdì 8 marzo 2013

Un abbraccio alla fine del giorno

Alla fine di questa giornata nella quale molte parole sono state spese sulle donne, vorrei spenderne ancora qualcuna e dedicare un abbraccio.
Un abbraccio alle donne stanche.
Un abbraccio alle donne coraggiose.
Un abbraccio alle sorelle e alle madri.
Un abbraccio alle donne che odiano le donne.
Un abbraccio alle donne che aiutano le donne.
Un abbraccio alle donne violate.
Un abbraccio alle donne mutilate.
Un abbraccio alle donne che riposano in cimiteri dimenticati.
Un abbraccio alle bimbe di oggi che saranno donne domani.
Un abbraccio agli uomini che si sentono donne.
Un abbraccio agli uomini che sorreggono le loro donne.
Un abbraccio a chi vorrebbe essere madre, ma non può.
Un abbraccio a chi affronta la devastante esperienza dell'aborto.
Un abbraccio alle donne silenziose e a quelle che urlano.
Un abbraccio che arriva a fine giornata, nella speranza che domani il mondo già non abbia dimenticato le donne.

martedì 5 marzo 2013

Ragni & Co.

Anche se in qualche giornata non si direbbe, la primavera è alle porte. Io ho cominciato ad annusarla già a febbraio, prima che una coltre di neve la sommergesse.
In questi giorni, invece, anche gli insetti (e non) che hanno deciso di svernare in casa mia hanno decretato il tramonto della stagione invernale.
Davanti alle finestre, uno svolazzare di coccinelle. Qualche formichina sperduta sul pavimento cerca la via di casa. E, naturlamente, se ne escono per uscire a caccia anche gli animali che io più temo: i ragni.
Negli anni sono molto migliorata, ma devo ammettere che ancora non so come comportarmi con gli esemplari più grandi. Lasciarli dove sono non posso: passerei il tempo a fissarli inorridita. Ucciderli non se ne parla: sono degni comunque di compassione ... e mi fanno schifo anche da morti. Rimane una sola soluzione: accompagnarli fuori. Una tragedia! Non riesco ad avvicinarmi, quindi devo usare attrezzi con lunghi manici e cercare di direzionarli verso la porta o la finestra più vicina. L'altro giorno c'ho messo mezz'ora a portarne uno fuori.
Quest'anno, però, i ragni mi hanno portato un regalo. Un mio racconto, che ha come protagonisti proprio i miei "amici" ad otto zampe, è stato selezionato per un'antologia che uscirà quest'anno.
Scrivere questo racconto aveva già un po' modificato la mia maniera di guardarli, oggi li devo ringraziare.

lunedì 25 febbraio 2013

C'è una barca in mezzo al mare

Ieri il radiogiornale ha dato la notizia: una nave da crociera vaga solitaria, senza equipaggio e senza rilevatori di posizione correndo il rischio di provocare collisioni. Una nave fantasma.
Subito ho trovato romantica l'immagine della nave fantasma che solca da sola i mari, anche un po' triste pensandola abbandonata. Poi, ho considerato l'aspetto meno romantico di tutta la faccenda.
La nave era stata confiscata e poi, per due volte, hanno tentato di trainarla. Pare che al secondo tentativo se la siano persa e non l'abbiano più recuperata. Adesso la soluzione è inabissarla ...
Sulla questione mi vengono alcune domande:
1- Quanto sarà costato fabbricarla?
2- Quanto inquinamento avrà prodotto fabbricarla?
3- Quanto inquinamento avrà prodotto durante la sua attività da nave da crociera?
4- Quanto inquinamento produrrà sotto il mare?
5- A cosa stavano pensando quelli che l'hanno lasciata nel mare?
Da oggi il mio impegno per un'economia sotenibile e per l'ecologia è ancora più forte, perché non possiamo lasciare la Terra in mano a individui che con il loro comportamento avvallano un meccanismo suicida come questo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Ospedale fa rima con ... carnevale

Lunedì abbiamo portato Esteban in pediatria per una febbre che proprio non se ne voleva andare. Il reparto di pediatria più vicino è a Moncalieri e vorrei tra l'altro spendere due parole per dire che abbiamo trovato infermiere e dottori molto disponibili e gentili. Io e mio marito non siamo favorevoli alla medicina "convenzionale" e stiamo male tutte le volte che dobbiamo ricorrervi, quindi il complimento è meritatissimo.
Comunque, entriamo in pediatria e varchiamo la soglia della saletta d'attesa: troviamo tanti bimbi malaticci come il nostro e aspettiamo. Esteban è mogio mogio.
Ci chiama l'infermiera e andiamo in ufficio per le prime domande di rito. C'eravamo appena seduti e sentiamo un gran baccano provenire dalla sala vicina. L'infermiera ci informa che è Carnevale.
Io penso: "Beh, sì, lo sappiamo."
Proseguiamo con le domande, ma in quel momento, proprio la follia del Carnevale invade tutti gli spazi: due ragazze vestite con abiti colorati e un ragazzo con un parruccone riccio entrano vocianti e allegri. Hanno un carrello di quelli per la distribuzione dei farmaci, ma sopra ci sono giochi e palloncini.
A quel punto "l'intervista" dell'infermiera diventa surreale.
"Da quanto ha la febbre?" e fra di noi si frappone un palloncino rosso.
"Cosa avete somministrato al bimbo?" e appare una confezione di macchinine. (Esteban ne ha 100, solo in borsa ne avevo 3 in quel momento, ma la macchinina è un richiamo ancestrale).
"Mangia e beve?" e arriva una molla colorata che rimbalza davanti a un Esteban rianimato (o quasi).
"Ha fatto pipì?" e si materializzano delle bolle di sapone.
Usciamo dall'ufficio carichi di regali e la sala è diventata una festa di colori: palloncini ovunque, tutti i bimbi ridono, i genitori pure. Le infermiere schivano danzando gente in maschera.
Mentre siamo seduti ad aspettare che visitino Esteban, ci vengono recapitati altri due pallontini.
Devo dire che andare in ospedale non è mai una bella esperienza e non mi è mai accaduto di ritrovarmi a ridere in un clima di gioia e leggerezza.
Basta così poco per trasformare i luoghi ... 


sabato 2 febbraio 2013

Così grandi, così piccoli

Questo pomeriggio abbiamo portato Esteban a visitare il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Finalmente è giunto il momento di usare la scusa di portare il bimbo a vedere cose istruttive per poter visitare io luoghi che ancora non avevo visto. Al Museo in questione non ero mai stata da quando mi sono trasferita a Torino.
Non eravamo ancora entrati nelle sale espositive vere e proprie, che mi sono trovata davanti una tigre a grandezza naturale ... imbalsamata.
Non mi spenderò qui a dire quanto mi facciano pena gli animali imbalsamati (la tigre era pure un reperto storico, perché era lì dalla metà dell'800 circa) e quanto apprezzi l'aver capito che adesso gli animali imbalsamati sono morti per causa naturali.
No, quello che volevo dire è che non riuscivo a muovermi da lì. Esteban e Giulio erano andati avanti e io non facevo altro che dire: "Ma è davvero grande!", guardando la tigre. Era davvero, ma davvero grande.
Quando mi sono schiodata da lì, è stata la volta del bisonte, poi dell'elefante e dell'alce. Mi bloccavo puntualmente a bocca aperta. Non me li immaginavo così grandi!
Non frequento gli zoo per scelta e nei miei viaggi non li ho mai incontrati, e quindi non avevo mai visto questi animali vivi.
E allora? direte voi. E allora, tutte le volte che mi trovo di fronte una statua molto più grande di me ho la stessa reazione: spalanco la bocca e rimango ammirata.
La mia immaginazione galoppa. Cosa si prova ad abbracciare una tigre di quelle dimensioni? e a camminarle a fianco? (E a esserne divorati? Direte voi.) I miei libri sono pieni di queste fantasie.
Vedere qualcosa che ha fattezze animali o umane così imponenti mi fa sentire piccola, ma non è solo questo. C'è qualcosa di ancestrale, di numinoso, di magnifico e sacro.
Probabilmente ha a che vedere con la nostra memoria millenaria (ci dimentichiamo cosa abbiamo mangiato a pranzo, ma se vedessimo un dinosauro ci ricorderemmo cosa fare - lo dicono tutti gli evoluzionisti).
Mi capita la stessa cosa quando vedo rappresentazioni di pianeti. Avete mai visto quanto piccola sia la Terra confrontata con gli altri pianeti del sistema solare? Se ne avete voglia, andate a dare una sbirciata, è una cosa che rimette tutto in una prospettiva diversa.
Ecco, questo è il punto: la prospettiva. Guardare cose molto più grandi, mi mette in una prospettiva che mi fa stare bene, perché le mie pene quotidiane sfumano davanti all'immenso.
E c'è un'altra riflessione che mi riempie di gioia: pensare che io posso sentirmi in comunione con la tigre, con la Nike di Samotracia (anche dal Louvre non riuscivano più a farmi uscire), con Giove, con la Galassia, ma ... anche con una formica o con una patata.
Perché siamo tutti fatti di energia.

mercoledì 23 gennaio 2013

Curiosità, desiderio e paura

Per quanto mi  riguarda, curiosità desiderio e paura sono concetti intimamente legati da sempre, ma è stato durante una seduta con la mia psicoterapeuta di qualche anno fa che la loro comunanza mi è apparsa in tutta la loro evidenza.
Le raccontavo di un esame che avrei dovuto sostenere di lì a poco. Era un esame molto importante, inerente alla mia professione, ed ero tesa all'idea di doverlo affrontare.
Dopo aver ascoltato per un po' il mio blaterare, la psicoterapeuta se n'è uscita con una considerazione che ancora adesso mi ripeto tutte le volte che un evento mi terrorizza: "Beh, ci si può andare con un po' di curiosità".
Avete mai notato che anche eventi potenzialmente belli e desiderati a volte ci spaventano?
Tutti i passaggi che mi hanno portato alla pubblicazione del libro mi hanno spaventato (e li desideravo!) e adesso mi spaventano i passaggi che portano alla sua diffusione ... che fifona!
Per me è così: paura e desiderio sono i due lati della stessa medaglia, funzionano in sinergia.
La sintesi perfetta per affrontare la paura e tenere a freno il desiderio struggente è la curiosità.
Si può stare in piedi davanti all'orribile Nulla e affrontarlo così (prendete nota):  mettere le mani in tasca, assumere un'aria svagata, fischiettare, muovere il primo passo e dire: "Beh, vediamo un po' cosa c'è qua!"

lunedì 14 gennaio 2013

La donna giusta, nel posto giusto, al momento giusto

A dispetto del titolo del post, raramente mi sono sentita la donna giusta, nel posto giusto, non parliamo poi del momento.
Sono come quelli sempre in anticipo sui tempi che rimangono in stazione una vita ad aspettare un treno che magari è stato cancellato oppure sono in ritardo e arrivo con il cuore in gola per la corsa, quando il treno è partito da trenta secondi, in tempo per vedere il sedere dell'ultima carrozza. Avete presente?
C'è stata una volta, però, in cui mi sono sentita proprio in tempo e nel posto giusto e la metafora dei treni non è venuta a caso.
Ero a Milano su un treno appena partito che mi riportava a casa, a Torino. Treno regionale, stracolmo di corpi accalcati anche se è domenica e per fortuna è novembre. Mi metto nell'unico posto possibile e cioè nello spazio tra un vagone e l'altro, vicino alle porte ( e ai bagni!). Come me, anche altri si sono piazzati lì. Mi tengo la valigetta del lavoro e lo zaino vicini per non togliere spazio vitale agli altri e intanto osservo le persone che mi stanno intorno e fantastico sulle loro vite (l'ho già detto, non sono impicciona, è "studio umano").
A Vercelli il treno si ferma, le porte si aprono e una piccola processione di persone scende.
Davanti alla porta vuota, mentre guardo fuori e cerco di respirare un po' di malsana aria ferroviaria, si presenta un signore anziano, basso di statura, con il cappotto grigio e liso troppo lungo che quasi tocca per terra. Sotto il cappotto fanno capolino i colletti di una serie di maglie assortite, probabilmente tutte quelle che possiede, e ai piedi ha un paio di scarpe troppo grandi che lo fanno sembrare un clown.
Ha un cappello consumato in testa, da cui esce un cespuglio di capelli bianchi arruffati, e la barba lunga e incolta.
Il viso è pieno di rughe ed è conciato dal freddo e dal sole, gli occhi rigorosamente puntati in basso.
Ha due borse di plastica stracolme di non si sa cosa e non ci vuole molto a capire che non ha una casa.
Il capotreno passa sulla banchina dietro di lui, mentre cerca di salire e fa finta di non vederlo. No, non pensate male. Una  volta tanto, è un'indifferenza solidale. Fa finta di non vederlo per permettergli di salire e chiude un occhio sul fatto che il biglietto probabilmente non ce l'ha.
L'ometto fa il primo gradino con fatica e, quando sta per fare il secondo, (complici i sacchetti troppo gonfi, il cappotto troppo lungo e le scarpe pure) perde l'equilibrio, ma una mano lo afferra per un braccio e lo aiuta a salire, la mia mano.
Quando le mie dita si stringono intorno al suo braccio magro temo di averlo mancato, perché mi pare di aver afferrato il braccio di un pupazzo di stoffa. Invece, le ossa ci sono sotto tutti quegli abiti, ossa da uccellino.
Lo aiuto a salire e sembra non avere peso, come uno spirito.
Una volta su, lui si assesta e mi sussurra un grazie appena percettibile.
Non vi racconto tutto questo per spiegarvi quanto io sia buona, prendere quella mano è stato un riflesso incondizionato (o un riflesso di amore incondizionato, se vi pare).
Questo è il momento in cui mi sono sentita davvero la donna giusta nel posto giusto, come se il mio lavoro, il treno pieno e le Ferrovie dello Stato avessero cospirato per farmi essere lì nel momento in cui quell'uomo ha avuto bisogno della mia mano. E forse è questo il senso dell'essere la donna giusta o l'uomo giusto: non mancare al nostro appuntamento con l'altro e quindi con la vita.

Per chi ha voglia di un finale un po' più allegro ... (E' tutto vero)
L' anziano con le sue borse gonfie arriva davanti al vagone pieno di gente seduta e commenta con la sua vocetta: "Ah, bene. Possiamo fare una partita a carte!"



giovedì 10 gennaio 2013

Alexander Langer

Mi accingo a scrivere un post difficile, mossa soprattutto da un'emozione e da un ricordo.
La libreria "Trebisonda" di Torino ha presentato ieri sera il libro "Non per il potere" (ed. Chiare Lettere), una raccolta di scritti di Alexander Langer curata da Federico Faloppa.
Non ci sono potuta andare, ma il semplice sentire il nome di Alexander Langer ha riacceso in me il ricordo.
Riassumere qui la vita di Alexander Langer non si può, invito chiunque possa essere incuriosito a cercare informazioni su Internet, c'è anche una Fondazione a lui intestata.
Dirò solo che è stato un giornalista, un traduttore, un insegnante e un uomo politico, anche se non nel modo in cui siamo abituati a vedere gli uomini politici oggi. E' stato impegnato nel movimento Verde in Italia e in Europa, è stato un pacifista e un ambientalista, impegnato nel periodo della guerra in ex-Jugoslavia. Ed è per il suo impegno per la pace che ho conosciuto la sua figura al tempo in cui anch'io, umilmente, mi prodigavo per la pace in ex-Jugoslavia.
Langer nella sua breve vita ha fatto tanto, è stato in molti luoghi e si è consumato per ciò in cui credeva, andandosene troppo presto.
Ha deciso di lasciarci il 3 luglio 1995 con un foglietto indirizzato a parenti e amici che diceva "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto".
Questa frase mi è sempre rimasta impressa, come se anch'io fossi stata investita dalla sua eredità pur non avendolo conosciuto di persona e come me ( e più di me) molti altri lo sono stati.
Continuare in ciò che è giusto, non importa forse definire ciò che è giusto. Continuare in ciò che si crede giusto, ancora e ancora.
In questo periodo in cui la rassegnazione sembra farla da padrona, questa frase suona come un incoraggiamento a non mollare nemmeno di fronte a ciò che sembra ormai perduto.
Nulla è perduto e lo credo davvero, lo sarà quando abbandoneremo ciò che è giusto. Non abbandoniamolo.
Ma è importante anche la prima parte del messaggio, perché nello sconforto non si fa molta strada, quindi:
"Non siate tristi...".


domenica 6 gennaio 2013

Chiedi e ti sarà dato

Complice il Natale, probabilmente, ho intrapreso in questo periodo delle letture un po' "particolari". Non sono una credente nel senso canonico del termine, mi sono sganciata dagli insegnamenti della Chiesa molto tempo fa e preferisco andare alla ricerca delle risposte per conto mio. Una posizione di comodo la definirebbe qualcuno ... può darsi. In realtà, non ho mai fatto tanta fatica e non mi sono mai fatta tante domande come ora. La strada però è stimolante e tanto basta.
Ma tornando alle letture ...
In un libro ho letto che gli angeli sono intorno a noi costantemente. Secondo l'autrice del testo, avremmo almeno due angeli custodi a testa e qualcuno ne ha anche di più. Gli angeli sono lì per portare la luce di Dio e la pace e lo fanno cercando di soddisfare le nostre richieste di aiuto. L'obiezione che sorge è ovvia: se ci sono così tanti angeli pronti ad aiutarci, perché così tanta sofferenza nel mondo? La risposta è disarmante: perché non chiediamo. Gli uomini sono dotati di libero arbitrio e gli angeli hanno bisogno del nostro consenso per intervenire.
Al di là del credere o meno in queste presenze, la cosa mi ha fatto riflettere.
Il fatto che sia necessario chiedere per ricevere è ripreso spesso. Nel Vangelo secondo Matteo (7,7-11) è detto: "Chiedete e riceverete. Cercate e troverete. Bussate e la porta vi sarà aperta. ...". E i vari libri su pensiero positivo e legge di attrazione che imperversano ovunque si basano sullo stesso concetto.
Sembrerebbe che, in qualche modo, se non si chiede in maniera esplicita ed esaustiva quel che si desidera, questo fatichi ad arrivare.
Mi sono rivista in varie situazioni, attuali e passate, e ho notato che quasi mai ho esplicitato (nemmeno a me stessa)  la richiesta di aiuto o il desiderio che portavo dentro. Le poche volte che l'ho fatto, mi sono confrontata con la difficoltà di definire bene l'oggetto del desiderio (o la richiesta) oppure mi sono resa conto che non tutto di me desiderava quella cosa, ero combattuta. Infine, spesso ho paura di quel che desidero. Ma questo non è una novità: dietro a ogni paura c'è un desiderio e viceversa.
E allora, forse è davvero tutto qui. Chiedi e ti sarò dato.
Trovare la chiarezza e il coraggio di desiderare quel che vogliamo ed esplicitarlo, i modi non mancano. 
Possiamo dirlo guardandoci allo specchio o scriverlo in un biglietto che butteremo o conserveremo. Possiamo innalzare la nostra preghiera a Dio o sussurrarla a un angelo che passa di lì.
Oppure possiamo ulularla alla luna, come da sempre fanno i lupi nelle notti luminose.