mercoledì 23 gennaio 2013

Curiosità, desiderio e paura

Per quanto mi  riguarda, curiosità desiderio e paura sono concetti intimamente legati da sempre, ma è stato durante una seduta con la mia psicoterapeuta di qualche anno fa che la loro comunanza mi è apparsa in tutta la loro evidenza.
Le raccontavo di un esame che avrei dovuto sostenere di lì a poco. Era un esame molto importante, inerente alla mia professione, ed ero tesa all'idea di doverlo affrontare.
Dopo aver ascoltato per un po' il mio blaterare, la psicoterapeuta se n'è uscita con una considerazione che ancora adesso mi ripeto tutte le volte che un evento mi terrorizza: "Beh, ci si può andare con un po' di curiosità".
Avete mai notato che anche eventi potenzialmente belli e desiderati a volte ci spaventano?
Tutti i passaggi che mi hanno portato alla pubblicazione del libro mi hanno spaventato (e li desideravo!) e adesso mi spaventano i passaggi che portano alla sua diffusione ... che fifona!
Per me è così: paura e desiderio sono i due lati della stessa medaglia, funzionano in sinergia.
La sintesi perfetta per affrontare la paura e tenere a freno il desiderio struggente è la curiosità.
Si può stare in piedi davanti all'orribile Nulla e affrontarlo così (prendete nota):  mettere le mani in tasca, assumere un'aria svagata, fischiettare, muovere il primo passo e dire: "Beh, vediamo un po' cosa c'è qua!"

lunedì 14 gennaio 2013

La donna giusta, nel posto giusto, al momento giusto

A dispetto del titolo del post, raramente mi sono sentita la donna giusta, nel posto giusto, non parliamo poi del momento.
Sono come quelli sempre in anticipo sui tempi che rimangono in stazione una vita ad aspettare un treno che magari è stato cancellato oppure sono in ritardo e arrivo con il cuore in gola per la corsa, quando il treno è partito da trenta secondi, in tempo per vedere il sedere dell'ultima carrozza. Avete presente?
C'è stata una volta, però, in cui mi sono sentita proprio in tempo e nel posto giusto e la metafora dei treni non è venuta a caso.
Ero a Milano su un treno appena partito che mi riportava a casa, a Torino. Treno regionale, stracolmo di corpi accalcati anche se è domenica e per fortuna è novembre. Mi metto nell'unico posto possibile e cioè nello spazio tra un vagone e l'altro, vicino alle porte ( e ai bagni!). Come me, anche altri si sono piazzati lì. Mi tengo la valigetta del lavoro e lo zaino vicini per non togliere spazio vitale agli altri e intanto osservo le persone che mi stanno intorno e fantastico sulle loro vite (l'ho già detto, non sono impicciona, è "studio umano").
A Vercelli il treno si ferma, le porte si aprono e una piccola processione di persone scende.
Davanti alla porta vuota, mentre guardo fuori e cerco di respirare un po' di malsana aria ferroviaria, si presenta un signore anziano, basso di statura, con il cappotto grigio e liso troppo lungo che quasi tocca per terra. Sotto il cappotto fanno capolino i colletti di una serie di maglie assortite, probabilmente tutte quelle che possiede, e ai piedi ha un paio di scarpe troppo grandi che lo fanno sembrare un clown.
Ha un cappello consumato in testa, da cui esce un cespuglio di capelli bianchi arruffati, e la barba lunga e incolta.
Il viso è pieno di rughe ed è conciato dal freddo e dal sole, gli occhi rigorosamente puntati in basso.
Ha due borse di plastica stracolme di non si sa cosa e non ci vuole molto a capire che non ha una casa.
Il capotreno passa sulla banchina dietro di lui, mentre cerca di salire e fa finta di non vederlo. No, non pensate male. Una  volta tanto, è un'indifferenza solidale. Fa finta di non vederlo per permettergli di salire e chiude un occhio sul fatto che il biglietto probabilmente non ce l'ha.
L'ometto fa il primo gradino con fatica e, quando sta per fare il secondo, (complici i sacchetti troppo gonfi, il cappotto troppo lungo e le scarpe pure) perde l'equilibrio, ma una mano lo afferra per un braccio e lo aiuta a salire, la mia mano.
Quando le mie dita si stringono intorno al suo braccio magro temo di averlo mancato, perché mi pare di aver afferrato il braccio di un pupazzo di stoffa. Invece, le ossa ci sono sotto tutti quegli abiti, ossa da uccellino.
Lo aiuto a salire e sembra non avere peso, come uno spirito.
Una volta su, lui si assesta e mi sussurra un grazie appena percettibile.
Non vi racconto tutto questo per spiegarvi quanto io sia buona, prendere quella mano è stato un riflesso incondizionato (o un riflesso di amore incondizionato, se vi pare).
Questo è il momento in cui mi sono sentita davvero la donna giusta nel posto giusto, come se il mio lavoro, il treno pieno e le Ferrovie dello Stato avessero cospirato per farmi essere lì nel momento in cui quell'uomo ha avuto bisogno della mia mano. E forse è questo il senso dell'essere la donna giusta o l'uomo giusto: non mancare al nostro appuntamento con l'altro e quindi con la vita.

Per chi ha voglia di un finale un po' più allegro ... (E' tutto vero)
L' anziano con le sue borse gonfie arriva davanti al vagone pieno di gente seduta e commenta con la sua vocetta: "Ah, bene. Possiamo fare una partita a carte!"



giovedì 10 gennaio 2013

Alexander Langer

Mi accingo a scrivere un post difficile, mossa soprattutto da un'emozione e da un ricordo.
La libreria "Trebisonda" di Torino ha presentato ieri sera il libro "Non per il potere" (ed. Chiare Lettere), una raccolta di scritti di Alexander Langer curata da Federico Faloppa.
Non ci sono potuta andare, ma il semplice sentire il nome di Alexander Langer ha riacceso in me il ricordo.
Riassumere qui la vita di Alexander Langer non si può, invito chiunque possa essere incuriosito a cercare informazioni su Internet, c'è anche una Fondazione a lui intestata.
Dirò solo che è stato un giornalista, un traduttore, un insegnante e un uomo politico, anche se non nel modo in cui siamo abituati a vedere gli uomini politici oggi. E' stato impegnato nel movimento Verde in Italia e in Europa, è stato un pacifista e un ambientalista, impegnato nel periodo della guerra in ex-Jugoslavia. Ed è per il suo impegno per la pace che ho conosciuto la sua figura al tempo in cui anch'io, umilmente, mi prodigavo per la pace in ex-Jugoslavia.
Langer nella sua breve vita ha fatto tanto, è stato in molti luoghi e si è consumato per ciò in cui credeva, andandosene troppo presto.
Ha deciso di lasciarci il 3 luglio 1995 con un foglietto indirizzato a parenti e amici che diceva "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto".
Questa frase mi è sempre rimasta impressa, come se anch'io fossi stata investita dalla sua eredità pur non avendolo conosciuto di persona e come me ( e più di me) molti altri lo sono stati.
Continuare in ciò che è giusto, non importa forse definire ciò che è giusto. Continuare in ciò che si crede giusto, ancora e ancora.
In questo periodo in cui la rassegnazione sembra farla da padrona, questa frase suona come un incoraggiamento a non mollare nemmeno di fronte a ciò che sembra ormai perduto.
Nulla è perduto e lo credo davvero, lo sarà quando abbandoneremo ciò che è giusto. Non abbandoniamolo.
Ma è importante anche la prima parte del messaggio, perché nello sconforto non si fa molta strada, quindi:
"Non siate tristi...".


domenica 6 gennaio 2013

Chiedi e ti sarà dato

Complice il Natale, probabilmente, ho intrapreso in questo periodo delle letture un po' "particolari". Non sono una credente nel senso canonico del termine, mi sono sganciata dagli insegnamenti della Chiesa molto tempo fa e preferisco andare alla ricerca delle risposte per conto mio. Una posizione di comodo la definirebbe qualcuno ... può darsi. In realtà, non ho mai fatto tanta fatica e non mi sono mai fatta tante domande come ora. La strada però è stimolante e tanto basta.
Ma tornando alle letture ...
In un libro ho letto che gli angeli sono intorno a noi costantemente. Secondo l'autrice del testo, avremmo almeno due angeli custodi a testa e qualcuno ne ha anche di più. Gli angeli sono lì per portare la luce di Dio e la pace e lo fanno cercando di soddisfare le nostre richieste di aiuto. L'obiezione che sorge è ovvia: se ci sono così tanti angeli pronti ad aiutarci, perché così tanta sofferenza nel mondo? La risposta è disarmante: perché non chiediamo. Gli uomini sono dotati di libero arbitrio e gli angeli hanno bisogno del nostro consenso per intervenire.
Al di là del credere o meno in queste presenze, la cosa mi ha fatto riflettere.
Il fatto che sia necessario chiedere per ricevere è ripreso spesso. Nel Vangelo secondo Matteo (7,7-11) è detto: "Chiedete e riceverete. Cercate e troverete. Bussate e la porta vi sarà aperta. ...". E i vari libri su pensiero positivo e legge di attrazione che imperversano ovunque si basano sullo stesso concetto.
Sembrerebbe che, in qualche modo, se non si chiede in maniera esplicita ed esaustiva quel che si desidera, questo fatichi ad arrivare.
Mi sono rivista in varie situazioni, attuali e passate, e ho notato che quasi mai ho esplicitato (nemmeno a me stessa)  la richiesta di aiuto o il desiderio che portavo dentro. Le poche volte che l'ho fatto, mi sono confrontata con la difficoltà di definire bene l'oggetto del desiderio (o la richiesta) oppure mi sono resa conto che non tutto di me desiderava quella cosa, ero combattuta. Infine, spesso ho paura di quel che desidero. Ma questo non è una novità: dietro a ogni paura c'è un desiderio e viceversa.
E allora, forse è davvero tutto qui. Chiedi e ti sarò dato.
Trovare la chiarezza e il coraggio di desiderare quel che vogliamo ed esplicitarlo, i modi non mancano. 
Possiamo dirlo guardandoci allo specchio o scriverlo in un biglietto che butteremo o conserveremo. Possiamo innalzare la nostra preghiera a Dio o sussurrarla a un angelo che passa di lì.
Oppure possiamo ulularla alla luna, come da sempre fanno i lupi nelle notti luminose.